Carichi dosati, passi misurati e un rientro che prende forma. Un attaccante torna a correre, un fantasista aspetta: dietro le quinte, il senso della stagione.
C’è un momento della stagione in cui ogni dettaglio conta. I club limano i carichi, trattano piccoli acciacchi con la stessa cura di un grande infortunio e preferiscono perdere un giorno di campo piuttosto che rischiarne trenta. In questo equilibrio sottile rientrano anche gli stati influenzali e le riprese graduali dopo uno stop muscolare: staff tecnici e medici seguono protocolli chiari, con step misurati e verifiche quotidiane. Il principio è semplice: ascoltare i segnali del corpo, riportare i numeri dentro range sicuri e soltanto allora rialzare l’asticella.
Nei centri sportivi che frequento da inviato, vedo sempre la stessa sequenza: valutazione clinica, monitoraggio del battito a riposo, controllo della temperatura, quindi lavoro a bassa intensità sul campo. Quando c’è un virus di mezzo, i club seguono una regola prudente: niente rientro finché non trascorrono 24-48 ore senza febbre, poi un progressivo ritorno con corse leggere, mobilità e tecnica individuale. È un percorso che evita sovraccarichi e protegge il sistema cardiocircolatorio, elemento spesso sottovalutato dopo un episodio febbrile. Linee guida sul “return to play” come quelle promosse dalla FIFA e dai centri di medicina sportiva confermano questo approccio.
Dentro questo quadro, la Serie A vive due aggiornamenti che meritano attenzione. A Trigoria sono ripartiti gli allenamenti e la Roma lavora su ritmi progressivi dopo l’ultimo impegno. Paulo Dybala è rimasto ai box per uno stato febbrile: gestione conservativa, terapia, idratazione, nessuna forzatura. Il club tende a rimetterlo in gruppo solo a completa risoluzione dei sintomi, con la classica finestra di osservazione e una seduta di riattivazione monitorata via GPS. Al momento non risultano comunicazioni ufficiali con tempi certi: se cerchi conferme, la pagina news del club resta il riferimento più affidabile.
Capitolo a parte per Artem Dovbyk, che ha ripreso la corsa sul campo con un lavoro personalizzato. Il centravanti sta seguendo un programma individuale: riscaldamento neuromuscolare, corsa lineare a intensità crescente e tecnica di corsa, senza cambi di direzione impegnativi. In questa fase l’obiettivo non è “fare volume”, ma ritrovare efficienza nel gesto e stabilità articolare. Il passaggio successivo, di solito, introduce brevi allunghi, poi esercizi di forza specifica e, solo dopo test superati, esercitazioni con la palla e contatto. Anche qui vale la stessa cautela: chi corre non è automaticamente pronto per la partita. Il segnale è positivo, ma la strada verso la piena disponibilità richiede risposte misurabili nei test funzionali e nelle sensazioni del giocatore.
Due scene diverse, un unico filo: proteggere il capitale tecnico con scelte sobrie. La squadra che sa rinunciare a un giorno di campo spesso guadagna settimane nel medio periodo. E tu, da tifoso, preferisci vedere il tuo campione “forzare” per una gara in più o arrivare lucido nel momento che pesa davvero?
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