Un’icona che attraversa secoli e stili, il divano Chesterfield non chiede attenzione: la conquista. Lo riconosci al primo sguardo, poi ti siedi e capisci perché continua a vivere in club, biblioteche, set cinematografici e case contemporanee. È una lezione di carattere, fatta di materia, proporzione e dettagli.
Origini e segni distintivi
Nato nell’Inghilterra del XVIII secolo, il divano Chesterfield ha codificato un’estetica che ancora oggi fa scuola. Il suo tratto più evidente è il capitonné profondo, con bottoni allineati in rombi perfetti. I braccioli arrotolati alla stessa altezza dello schienale creano una linea orizzontale continua. La seduta è ampia, sostenuta, con imbottiture ferme. Dettagli come la borchiatura perimetrale e il piede tornito completano l’insieme.
Perché quelle scelte? Il capitonné non è solo decorazione: distribuisce la tensione del rivestimento e riduce le grinze nel tempo. I modelli tradizionali usano pelle pieno fiore tinta in anilina, che conserva pori e naturalezza del materiale. È viva, respira, si patina. Nei pezzi di qualità il telaio è in legno massello (faggio o frassino essiccati), mentre la sospensione può essere a molle legate a otto vie nei modelli di fascia alta. Esistono anche versioni con cinghie e molle a zig-zag: più diffuse, meno nobili.
Dati e riferimenti contano. Il Victoria and Albert Museum conserva esempi storici del genere (collezioni arredo, Londra). La norma europea EN 12520 definisce requisiti di resistenza e durabilità per le sedute domestiche: un riferimento utile quando si valutano certificazioni e test. Sui numeri: gli artigiani indicano spesso pelli di spessore intorno a 1,2–1,4 mm per i Chesterfield in anilina; non esiste però uno standard unico pubblico, quindi va verificato caso per caso.
Dentro una bottega italiana
In Brianza, distretto che parla il linguaggio del legno, ho visto nascere un Chesterfield in una piccola manifattura. Niente catene. Solo banco, morsetti, aghi curvi. Si parte dal telaio in legno massello trafilato, giunzioni a tenone e mortasa, colla animale o vinilica a seconda della zona. Poi si tendono le cinghie, si montano le molle e, se il cliente lo richiede, si procede con la legatura “otto vie” a nodi: è lenta, ma distribuisce il carico in ogni direzione.
Il cuore arriva con il capitonné. Il tappezziere disegna la griglia a matita, pianta i punti, fora il supporto e “cucina” il rombo dall’interno. Ogni bottone entra in tiro con la stessa tensione. Qui la mano si vede: rombi senza pieghe parassite, profondità costante, allineamenti netti anche sugli angoli. Il rivestimento? Una pelle pieno fiore di Santa Croce sull’Arno, finitura anilina selezionata per uniformità e mano. Le differenze naturali non si coprono: sono parte del racconto. Alcuni laboratori dichiarano oltre 80 ore di lavoro per un tre posti; non esistono dati pubblici consolidati, ma la complessità lo rende plausibile.
E la comodità? Altezza seduta intorno a 43–45 cm, portanza ferma, schienale che abbraccia senza cedere. Un Chesterfield ben fatto non è morbido come una nuvola: è un appoggio autorevole. Lo capisci quando ti alzi e la forma resta intatta.
Consigli rapidi per riconoscere l’autentico:
Allinea bottoni e rombi: devono “correre” dritti.
Sfiora la pelle: la pelle anilina scalda subito, mostra pori e micro-marezzature.
Solleva il divano: il peso racconta il legno massello.
Chiedi i test (EN 12520) e l’origine dei materiali; cerca concerie certificate (es. Leather Working Group).
Il cinema lo ama perché riempie la scena. A casa, però, lo spazio che riempie è interiore. È un invito alla misura, a rallentare. Ti andrebbe di sederti e ascoltare cosa dice il silenzio del tuo salotto quando la forma è così precisa?





